Forse non tutti sanno che tra la caduta di Crispi (1891), e il breve governo di Giolitti (1892), vi fu il governo ancor più breve dell’irreprensibile Antonio Starabba di Rudinì, che resse con coraggio le sorti dell’Italia per circa 3 o 4 giorni. Tuttavia, in quei pochi, miseri giorni il pirotecnico Antonio si dette un gran daffare: visti gli insuccessi dei suoi predecessori nella conquista dell’Etiopia, decise di cambiare

area di influenza, e mosse all’attacco del Tibet. Le difficoltà logistiche non mancarono (qualcuno parlò di "immensa minchiata"), ma il contingente italiano riuscì comunque a raggiungere il Tetto del Mondo. Forti della superiorità numerica e dei gioielli tecnologici di cui erano in dotazione (tra cui fionde, bottammuro, raganelle e stelle filanti), i soldati italiani conquistarono diversi pascoli di yak incazzosi e di capre tibetane, ma dovettero arrendersi di fronte al temibile Generale Inverno: furono ritrovati a primavera, ospiti di un monastero che aveva servito per 6 mesi cioccolata calda e whisky di contrabbando. Anche nella politica interna, Starabba brillò per diplomazia: per sedare le rivolte di pecorai meridionali, eternamente incazzati perché la tv via cavo non era ancora arrivata al Sud, il nostro eroe distribuì a piene mani orologi dell’Uomo Ragno, astucci di Candy Candy e, ai primi 50 che telefonarono, offrì un soggiorno premio a Nocera inferiore (all’epoca piuttosto fiorente). Nonostante questi successi, le cose finirono male: il governo Starabba cadde perché Starabba cadde, uscendo da Montecitorio e schiantandosi contro un chioschino delle caldarroste. Nonostante questo, egli resta nei nostri cuori come uno dei più ambiziosi primi ministri della nostra storia. Ciao Antonio.
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